Zona rossa in Lombardia: ecco dove stava l'errore nei conteggi. E la colpa?
La ricostruzione di quanto avvenuto: quando il Ministero ha cambiato le regole sull'isolamento, abolendo il doppio tampone negativo, i tecnici regionali non si sono pienamente conformati causando il "cortocircuito".
L’ufficialità è arrivata la sera di ieri, venerdì 24 gennaio: la Lombardia torna in zona arancione dopo una sola settimana di zona rossa. Un evento non previsto dal Dpcm, che prevede invece un possibile “miglioramento” del colore solo dopo almeno 14 giorni (mentre il peggioramento può avvenire anche dopo sette). Il motivo? Come è stato detto e ridetto, un errore nei calcoli dell’indice Rt, quello che fotografa la diffusione del virus sul territorio.
Regione-Ministero, muro contro muro
Che qualcosa non tornasse era noto da giorni. Anzi, c’era chi, come il dottor Paolo Spada, chirurgo dell’Humanitas e curatore della pagina Facebook di approfondimento scientifico Pillole di Ottimismo, già da un paio di settimane sottolineava nei suoi report quotidiani come l’indice Rt lombardo fosse in controtendenza rispetto agli altri indici relativi al contagio sul territorio. Purtroppo, però, il rapporto tra Regione Lombardia e Ministero della Salute è da tempo compromesso, e il muro contro muro istituzionale ha portato la Lombardia a presentare un ricorso al Tar del Lazio proprio contro l’ordinanza che il 15 gennaio ha messo la regione in zona rossa (ricorso a questo punto inutile): i dati usati erano sbagliati, dicevano dal Pirellone. In tutta risposta, da Roma rimarcavano come Istituto superiore di sanità e Comitato tecnico-scientifico abbiano sempre e solo lavorato sui dati forniti dalla Lombardia stessa.
Effettivamente, ora sappiamo che l’errore c’era. Ma di chi è la colpa? Il rimbalzo di responsabilità, infatti, è continuato anche nelle ore immediatamente successive all’annuncio del cambio di colore. Districarsi nella giungla di termini tecnici e valori statistici e scientifici non è mai facile, ma a fare luce sugli accadimenti sono le notizie che stanno venendo a galla nelle ultime ore, riportate con dovizia di particolari dal Corriere.
La «rettifica» di Regione
In un documento interno e relativo allo scambio di informazioni tra Ministero e Comitato tecnico scientifico, si legge che i tecnici lombardi hanno chiesto un aggiornamento della propria condizione alla luce di «un nuovo invio di dati […] con revisione anche retrospettiva da metà dicembre 2020 dei campi dati relativi alla “data inizio sintomi” e allo “stato clinico” che determinano una riduzione del numero di casi notificati dalla Regione stessa come sintomatici». I tecnici di Roma definiscono questa novità «una rettifica dei dati da parte della Regione Lombardia». Dal Pirellone, invece, affermano solo di aver trovato un punto d’incontro con i tecnici romani per sbloccare finalmente la situazione, senza andare più a fondo e dopo aver rimarcato come, in realtà, sarebbero stati i tecnici del Welfare lombardo a individuare l’errore nei conteggi e segnalarlo.
Sempre il Corriere, “traduce” la situazione: il numero di casi indicati dalla Regione su cui viene calcolato dall’Istituto superiore di sanità l’Rt è stato sovrastimato, venivano contati più infetti di quelli che realmente ci sono. Nei casi comunicati a Roma venivano contati anche centinaia di guariti. Un problema che sarebbe sorto addirittura il 12 ottobre scorso, quando il Ministero della Salute ha cambiato le regole sulla quarantena abolendo il doppio tampone negativo per ritenere effettivamente guarito un soggetto. I tecnici lombardi nei report dei positivi indicavano la data di inizio sintomi, ma non la loro “condizione” (asintomatici, con pochi sintomi, sintomatici), ovvero un dato fondamentale con le nuove regole per capire quando si può concludere l’isolamento dell’infetto e ritenerlo dunque guarito.
Guariti contati come ancora positivi
La conseguenza di questa mancata informazione è che molte persone risultate positive venivano contate quando venivano individuate come contagiate, ma poi non venivano depennate una volta guarite. Finché i numeri dei nuovi positivi salivano costantemente, nessuno si è accorto del problema, mentre da inizio anno, con la curva epidemiologica in calo, questo errore è stato notato. Da Regione si giustificano dicendo che nessuno, dall’Istituto superiore di sanità, aveva mai spiegato loro che il campo della “condizione” dei positivi fosse obbligatoriamente da compilare. Fatto sta che da quando i tecnici regionali si sono conformati a questa condizione, l’indice Rt lombardo è tornato a dare una reale fotografia della situazione. Con il conseguente cambio di colore.
Regione nega ogni responsabilità
Il governatore Attilio Fontana, però, con una nota stampa fornisce la propria versione. Che, nello specifico, non smentisce direttamente la ricostruzione del Corriere, ma parla di un non meglio definito «errore nell’algoritmo dell’Iss»: «Ai professionisti della mistificazione della verità, ribadisco ancora una volta che i dati richiesti alla Lombardia sono sempre stati forniti con puntualità e secondo i parametri standard. Semmai qualcuno a Roma dovrebbe chiedersi come mai Regione Lombardia abbia dovuto segnalare il “mal funzionamento” dell’algoritmo che determina l’Rt dell’ISS. Chi, invece, sostiene il contrario lo deve dimostrare con atti concreti e non manipolando la realtà a uso propagandistico».
In ogni caso, la situazione appare paradossale. E mette in luce un problema organizzativo, prima ancora che tecnico, nella gestione di questa pandemia. Il tutto a un anno dal suo inizio. Anche perché viene da chiedersi come sia possibile che soltanto la Lombardia sia rimasta vittima di questo presunto mal funzionamento dell’algoritmo. In più, se quell’errore si è rivelato decisivo oggi nella valutazione di quali misure imporre in Lombardia, nulla esclude che ciò possa essere successo anche i mesi scorsi. Insomma, il rischio che la Lombardia sia stata sottoposta a misure anti-Covid “eccessive” rispetto alla sua reale condizione non si può escludere. E, francamente, sarebbe anche ora che qualcuno pagasse per gli errori commessi, soprattutto se così macroscopici e gravi per le condizioni non solo di salute, ma anche economiche dei cittadini.