A RIVOLTA D'ADDA

In pensione da un anno, Carmelo torna in corsia per combattere il Coronavirus

"Rifletta, chi ha tagliato sulla Sanità pubblica".

In pensione da un anno, Carmelo torna in corsia per combattere il Coronavirus
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In pensione da un anno, torna in corsia per combattere il Coronavirus: la storia di Carmelo Saitta.

In pensione da un anno, Carmelo torna in corsia per combattere il Coronavirus

C'è chi dalla pensione si è ritrovato di nuovo in corsia, pronto a dare di nuovo il suo contributo di fronte all’emergenza scatenata dal Covid-19. È il caso dell’infermiere di Rivolta d'Adda, Carmelo Saitta, che ha voluto rendere pubblica sui social la sua esperienza sul campo.

"Dal divano al reparto Covid-19 – ha fatto sapere – Chi lo avrebbe mai detto, già chi lo avrebbe mai detto che dopo un anno di pensione sarei rientrato al lavoro in ospedale… In un reparto creato apposta per la tragica emergenza Coronavirus. Nonostante molti anni di esperienza in ambito area critica, emergenze sanitarie anche in territori di guerra, questa volta mi sento inutile, impreparato, non sono pronto ad accettare che molte persone debbano morire perché i posti nelle terapie intensive sono saturi. Persone che in periodi di ordinaria sanità verrebbero intubate e si farebbe di tutto per dare loro una possibilità”.

Attraverso uno schermo quella sofferenza si può solo immaginare

Quando si scatena un’epidemia invece, senza cura e senza vaccino, anche l’ordinario diventa straordinario, anche chi riceverebbe cure in tranquillità rischia di non poterle ottenere. E chi lavora a stretto contatto con i malati si scopre impotente.

“Tutti quanti vediamo le immagini di persone con caschi, maschere, ma attraverso uno schermo non ne percepiamo la vera sofferenza, possiamo solo immaginarla – ha continuato – Di queste testimonianze, rilasciate da chi opera in prima linea, ne sono pieni i social, e pare non siano ancora sufficienti a far capire quanto sia importante rispettare le indicazioni”.

Stremati a fine turno, ma col senso di colpa per aver staccato

“Lavoro in un reparto chiamato “OBI”, vale a dire osservazione breve intensità, una sorta di astanteria del Pronto soccorso, dove transitano persone positive al virus che, dopo un breve periodo di osservazione e terapia, in base alla risposta dovrebbero essere indirizzate al reparto più idoneo – ha precisato – In realtà è una subintensiva, la maggior parte di queste persone necessita di essere intubata e ha bisogno di attenzioni da terapia intensiva che, per mancanza di posti letto, non può avere. Quindi i pazienti si ritrovano ricoverati in reparti improvvisati, nati in un giorno, con personale sia medico che infermieristico non preparato a lavorare con presidi di terapia intensiva. Personale sanitario che comunque dà il massimo, non si ferma un attimo, non beve un goccio d’acqua per turni interi, evita di andare in bagno e perdere tempo. Ci sono operatori che si fermano anche dopo il proprio turno sebbene siano stremati, perché si sentono in colpa a lasciare i colleghi sapendo quanto sarà pesante il turno. È a questi operatori che va tutta la mia stima e rispetto, a queste ragazze e ragazzi che senza una protesta senza un lamento hanno accettato di essere spostati dalle loro sedi di lavoro, poliambulatori, riabilitazioni, in altri presidi e soprattutto ad assistere persona con patologie ad alta complessità, con macchinari che non conoscono”.

“Rifletta chi ha tagliato sulla Sanità pubblica”

Uno sfogo personale e un attestato di stima per i colleghi quello di Saitta.

“Mi piacerebbe che questa tragedia mondiale portasse a riflettere quei politici che anni addietro durante la crisi economica, proposero di fare lavorare come infermieri gli operai disoccupati, ed intanto tagliavano e tagliavano i fondi per la Sanità pubblica – ha concluso afflitto – con tutto il rispetto per gli operai”.

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