Coronavirus: il test rapido salivare funziona, presto la certificazione
A differenza di quelli sierologici il test rileva, come i tamponi, la presenza del virus.
Come riporta prima Saronno, si è conclusa la fase di sperimentazione del test rapido salivare messo a punto dall’Università dell’Insubria che nelle ultime settimane è stato sperimentato all’Ospedale di Circolo di Varese: il risultato in 3-6 minuti.
Test rapido salivare, la risposta dell’Insubria
Funziona quasi come un test di gravidanza, solo con la saliva. Una goccia e nel giro di pochi minuti si sa se il coronavirus è presente nel proprio organismo. Una banda rossa negativo (quindi niente virus), due bande rosse risultato positivo. La sperimentazione iniziata lo scorso 15 aprile all’Ospedale di Circolo si è ora conclusa dimostrando il funzionamento della metodologia sviluppata all’Insubria dal ricercatore saronnese Lorenzo Azzi e dal professor Mauro Fasano. Ora manca solo la certificazione, che dovrebbe arrivare in una quindicina di giorni.
Come funziona
Ad oggi, la fase di diagnosi si basa su due rilevazioni diverse: quella del tampone, che cerca la presenza del coronavirus, e quella dei test sierologici che invece individua la risposta immunitaria, che compare circa due settimane dopo l’infezione. Il test salivare appartiene alla prima categoria, quella più al centro dell’attenzione e “problematica” per il numero limitato di tamponi che si riescono ad eseguire giornalmente. A differenza del tampone, che richiede tempi lunghi (si parla di diverse ore) per essere analizzato, il test salivare richiede solo pochissimi minuti. Si tratta quindi di uno strumento diagnostico strategico, in quanto permetterebbe di incrementare la capacità di screening alleggerendo il carico di lavoro dei laboratori accreditati. E più si è in grado di “controllare” la presenza del virus nella popolazione, più è facile contrastare la sua diffusione specialmente dagli asintomatici.
Idea e sperimentazione
Il test è il risultato di un lavoro di squadra dell’Università dell’Insubria e dell’Asst dei Sette Laghi in cui hanno avuto ruoli incisivi il rettore Angelo Tagliabue, stimato professore di Odontostomatologia, e Paolo Grossi, infettivologo referente regionale e ministeriale per l’emergenza Covid-19. L’idea è di Lorenzo Azzi, ricercatore di Odontoiatria, e Mauro Fasano, professore di Biochimica. La realizzazione dei reagenti e dei kit è avvenuta nei laboratori dell’Insubria a Busto Arsizio ed è stata coordinata dalla ricercatrice Tiziana Alberio. La sperimentazione è stata condotta nel laboratorio di Microbiologia diretto da Fausto Sessa all’Ospedale di Circolo di Varese, dove in poco più di due settimane, dal 16 aprile al 4 maggio, sono stati esaminati i campioni di saliva di 137 soggetti sottoposti al tampone e risultati sia affetti da Covid-19 che sani.
La sperimentazione ha dato risultati positivi, dimostrando come spiega il professor Fasano una “sensibilità del test alta, con margini di miglioramento già previsti per la prototipizzazione industriale. Questo passaggio dallo studio alla realizzazione di un progetto a favore della comunità dà grande valore all’attività di ricerca scientifica”.
Presto la certificazione
L’Università dell’Insubria ha stilato un accordo con la NatrixLab di Reggio Emilia: l’azienda è già al lavoro per fornire in tempi rapidi alcuni prototipi con assemblaggi leggermente diversi tra loro, che saranno validati in tempi altrettanto brevi quanto quelli in cui si è svolta la sperimentazione ospedaliera. In questo modo si potrà passare alla realizzazione del test su larga scala e a costi contenuti.
L’ultimo passaggio necessario prima di arrivare sul mercato è la certificazione, come spiega Fasano che ne delinea anche un possibile orizzonte “diffuso”:
“Il nostro test salivare – puntualizza Fasano – è così semplice da poter realmente essere utilizzato da chiunque, ma la certificazione per uso autonomo richiede tempi molto lunghi, mentre sono necessari solo 15 giorni per ottenere quella sotto controllo medico. Dunque il test, come quello sierologico, sarà inizialmente gestito da una figura sanitaria, che collabori per esempio con le forze dell’ordine per controlli, oppure con un’azienda che voglia sottoporre i dipendenti all’esame. E speriamo che possa essere messo a disposizione anche dei medici di base”.
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