Pneumologia territoriale, al via un nuovo progetto di presa in carico domiciliare di pazienti fragili e cronici
Si tratta di pazienti in cui l’insufficienza respiratoria coincide con la necessità di ossigeno o di supporto con ventilazione meccanica
Asst Crema: al via un nuovo progetto di pneumologia territoriale per la presa in carico domiciliare di pazienti fragili e cronici.
Pneumologia territoriale: al via un nuovo progetto
“E’ un esempio concreto di stretta collaborazione tra ospedale e territorio e tra differenti figure sanitarie e socio sanitarie. È la dimostrazione che insieme crediamo alla cura delle persone nella loro casa, sul territorio”.
La voce del direttore dell’unità operativa di riabilitazione respiratoria all’ospedale Santa Marta di Rivolta d’Adda, Giuseppe Emanuele La Piana è colma di orgoglio nel presentare il nuovo progetto di pneumologia territoriale rivolto a persone fragili con grave disabilità legata a una patologia polmonare cronica avanzata. Si tratta di pazienti in cui l’insufficienza respiratoria coincide con la necessità di ossigeno o di supporto con ventilazione meccanica.
15 pazienti in carico
Attivo ufficialmente dalla fine di febbraio, il progetto al momento prevede la presa in carico domiciliare di una quindicina di pazienti in tutto il distretto cremasco, dimessi dal reparto di pneumologia o di riabilitazione respiratoria. Vede il coinvolgimento di un’equipe multidisciplinare composta da medico pneumologo, infermiere di famiglia e di comunità, equipe di cure palliative (al bisogno). Nell’ambito della presa in carico domiciliare giocano un ruolo essenziale anche il terapista respiratorio e il medico di medicina generale.
Come funziona
“L’equipe multiprofessionale si reca direttamente al letto del paziente ricoverato presso l’unità operativa di pneumologia o di riabilitazione respiratoria, prima della dimissione, e ne comincia a valutare la complessità e le necessità cliniche, assistenziali e di bisogno non solo sanitario ma anche sociale al rientro a domicilio.
Viene poi garantito e programmato un intervento diretto a domicilio, cadenzato secondo necessità e attivando ausili o supporti che possono permettere un rientro a casa più sicuro e funzionale al proseguo del percorso di recupero (ad esempio attivazione di Adi o protesica e ausili)”.
Segue una prima valutazione al domicilio e in tale sede vengono programmate rivalutazioni successive.
“Aspetto importante di questo nuovo progetto è la presa in carico multidisciplinare: la visione specialistica del medico pneumologo, necessaria per la cura di casi così complessi al domicilio, si integra perfettamente con la forte competenza in ambito territoriale degli infermieri di famiglia o dei colleghi delle cure palliative”.
L’intento, in linea con la forte vocazione riabilitativa del presidio di Rivolta d’Adda, è quello di garantire “a questi pazienti il ritorno a casa, dopo periodi di ricovero lunghi nei reparti per acuti, donando loro sicurezza. Spesso i nostri pazienti più fragili temono il rientro a casa, si sentono soli. Questo progetto, facendo leva su una sinergia con i medici di medicina generale che restano il primo riferimento per il pazienti, vuole far capire che non lo sono. Portiamo le nostre competenze direttamente a casa degli utenti”.
Come racconta il medico pneumologo referente Alessia Edallo, entrare nella casa di una persona “significa abbattere distanze e farsi largo tra le storie. Spesso basta così poco”. L’esperienza non è altro che “l’evoluzione di un protocollo collaudato durante l’epoca Covid, una presa in carico territoriale che ci ha consentito di assistere con successo oltre 3500 persone”.
Tra le figure coinvolte nell’equipe anche quella dell’infermiere di famiglia e di comunità, vera novità della riforma sanitaria lombarda.
“E’ il vero punto di contatto tra tutti i componenti di questo progetto” spiega il direttore aziendale delle professioni sanitarie e socio sanitarie Annamaria Bona.
“Si occupa di informare l’utente e la sua famiglia sulle finalità del servizio, fornisce i recapiti, ma eroga anche interventi educativi, coinvolgendo attivamente anche i caregiver. Nell’ambito della casa, come primo luogo di cura, l’assistenza non può non tener conto della componente familiare”.
L’assistenza assume anche in questa fase nuove forme: “avvalendosi delle più recenti tecnologie, l’infermiere può eseguire tele-nursing, ossia assistenza infermieristica a distanza”. Resta in ogni caso “il punto di riferimento, in grado di attivare, in caso di necessità anche altri specialisti della riabilitazione. Lavora in sinergia con il medico di base. Al bisogno interagisce anche con il Cup per la programmazione di esami con modalità e tempistica prevista”.
Per il direttore sociosanitario Diego Maltagliati: “L’avvio di questo progetto è un ulteriore tassello nella logica della riforma della sanità per intensificare il legame ospedale territorio, per garantire continuità assistenziale facendo leva sulla multidisciplinarietà di cui i pazienti hanno bisogno. Perché, è bene dirlo, il lavoro di rete sul territorio non si può fare da soli, si deve fare insieme.
L’integrazione di competenze ed un più stretto legame tra ospedale e territorio sono una necessità, oltre che un valore e devono animare la continuità assistenziale dalla prevenzione alla riabilitazione. Bene che in questo modo venga dato ulteriore spazio agli infermieri di famiglia, una figura importante che potrà applicarsi in vari contesti dall’assistenza domiciliare, alla regia territoriale, fino ai servizi territoriali”.
Recente, da questo punto di vista, anche l’attivazione dell’ambulatorio infermieristico nel presidio di via Gramsci a Crema.