Giornata dell'Infermiere, otto operatori specializzati si raccontano
Essere infermiere è una vocazione: nessuno cambierebbe il percorso scelto, ma molti chiedono maggiore riconoscimento.
Giornata dell'Infermiere, otto operatori specializzati dell'Asst di Cremona si raccontano. Dall’ospedale alle cure domiciliari, la formazione è continua e si adatta alle nuove esigenze della sanità e dei pazienti. Essere infermiere è una vocazione: nessuno cambierebbe il percorso scelto, ma molti chiedono maggiore riconoscimento.
Giornata dell'Infermiere
Il 12 maggio è la Giornata internazionale dell’infermiere. Istituita nel 1820, rende omaggio a questa figura professionale, spesso silenziosa ma fondamentale per fornire cure e assistenza sia in contesti ospedalieri sia familiari. Come afferma Alberto Silla, responsabile della Direzione Assistenziale Professioni Sanitarie (DAPS), «All’estero invidiano la preparazione dei nostri professionisti: in Italia il percorso di studi offre una formazione generalista con competenze trasversali spendibili in tutte le realtà, dalle strutture sanitarie alle cure domiciliari e in RSA».
I nostri infermieri conseguono specializzazioni inimmaginabili fino a pochi anni fa: dall’implantologia di dispositivi intravascolari all’assistenza domiciliare per la gestione di pazienti oncologici o con patologie gravi, in raccordo con le strutture sanitarie e socio-sanitarie del territorio. Ciò si affianca alle funzioni che consentono lo svolgimento del lavoro in reparti ad alta criticità, come pronto soccorso e terapie intensive.
Competenze distintive, che necessariamente devono essere possedute oggi da un infermiere professionista. «Nonostante questo – prosegue Silla - si paga ancora lo scotto di un’arretratezza culturale all’interno della società, che è poco consapevole della complessità professionale e operativa di questa figura. Con la difficoltà di ottenere una progressione di carriera e un riconoscimento formale e sostanziale comparabile a quello di altre professioni medico-sanitarie».
Otto operatori specializzati si raccontano
Quest’anno la Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (FNOPI) ha scelto di focalizzarsi su tre temi cari a chi svolge questa professione: l’assistenza alla nascita, la comunicazione tra operatori e pazienti, l’intervento d’urgenza e la gestione del fine vita. Per valorizzare la professione dei tanti operatori che lavorano presso gli ospedali di Cremona e Oglio Po, abbiamo chiesto a otto di loro di raccontare il proprio percorso e l’esperienza al servizio degli altri, compiendo una scelta che tutti rifarebbero senza esitazioni.
CHIARA: «Il nostro compito è dare valore al tempo di attesa»
Chiara Barbera è infermiera dal 2007. Dopo l’esperienza maturata in diversi reparti del’Asst Cremona, lavora in pronto soccorso dal 2018. Nel 2019 ha frequentato il corso per infermiere di triage, che si occupa di attribuire un codice colore per determinare la priorità di accesso alla visita medica. «Gli strumenti a disposizione del “triagista” – spiega – sono l’intervista al paziente, l’esame obiettivo infermieristico e la rilevazione dei parametri vitali, al fine di identificare precocemente segni o sintomi che possono far virare il codice colore. Applicando il modello di presa in carico infermieristica anticipata, il triagista può eseguire esami ematici o strumentali e somministrare farmaci per gestire il dolore, con l’obiettivo di “dare valore” al tempo di attesa». Tra i requisiti fondamentali, «L’infermiere di triage deve avere buone capacità decisionali, di comunicazione e di ascolto, per lavorare in team e saper gestire situazioni critiche e di stress, talvolta generate dal protrarsi dei tempi di attesa all’interno del pronto soccorso. In situazioni ad alto impatto emotivo non sempre è facile scindere il “nostro io” dal ruolo che si ricopre».
MICHELA: «Essere infermiere di famiglia significa entrare in casa delle persone in punta di piedi»
Michela Sbolli è infermiera dal 2008. La scelta risale a sedici anni prima, quando il padre rimane coinvolto in un incidente. «Quando andavo a trovarlo – racconta - incontravo principalmente infermieri, per me l’avevano salvato loro». Da qui il desiderio d’intraprendere lo stesso percorso, che inizia nel reparto di psichiatria. Oggi è Infermiera di famiglia e di comunità: «È un cambio di rotta rispetto al lavoro in ospedale, impari a capire se sei in grado di gestire situazioni complesse in autonomia, a contatto con la famiglia e con pazienti spesso pluripatologici». La presa in carico si estende all’aspetto sociale: «Essere infermiere di famiglia significa entrare in casa delle persone in punta di piedi. Ascoltare è fondamentale così come farsi carico di ciò che la persona vive, per evitare che debba tornare in ospedale o che soffra la solitudine». Versatilità e pazienza sono doti imprescindibili per chi si prende cura degli altri: «Basti pensare alle mamme o alle persone che si occupano dei genitori…Tutti siamo un po’ “infermieri” per qualcuno».
GIOVANNI: «Sono orgoglioso di ciò che faccio: la cosa più bella è quando il paziente ti dice grazie»
Giovanni Astuto è un infermiere specializzato in impianti di PICC (catetere venoso centrale ad inserzione periferica). «Mi occupo della salvaguardia del patrimonio venoso del paziente – spiega – quando è necessario trovare un accesso venoso a lungo termine per somministrare nutrizione o terapie. Da tre anni mi ci dedico a tempo pieno: oltre all’attività nei vari reparti, intervengo per risolvere o evitare eventuali problematiche». Le soddisfazioni non mancano: «È bello ricevere gratitudine dai pazienti e dagli altri operatori, spesso la mia figura agisce dove non ci sono altre possibilità, tutto dipende dalla tua procedura. Sono orgoglioso di ciò che faccio: ciò che mi rattrista è il poco riconoscimento sociale ed economico per l’infermiere, spesso legato ad un’idea un po’ arretrata della professione».
VERENA: «La donazione fa la differenza: dopo la morte una persona può diventare la cura per qualcun altro»
Verena Bolchi è infermiera dal 2002. Per quindici anni ha lavorato in rianimazione, successivamente ha prestato sevizio al Nido dell’Ospedale di Cremona e oggi lavora in Patologia neonatale. «Inizialmente volevo fare fisioterapista – racconta – ma è bastato un anno di Scienze infermieristiche per capire che avevo trovato la mia strada». Nel 2018 ha conseguito un master di coordinamento incentrato sulla donazione di organi, di cui oggi si occupa all’interno del Coordinamento Donazione e Prelievo Organi e Tessuti. «Nella donazione non c’è il singolo operatore, ma una rete di infermieri e medici che lavorano insieme per realizzarla. Io sono un anello di questa catena». Gestire il momento del fine vita non è semplice, «ma attraverso il dono c’è la consapevolezza che con la morte non finisce tutto lì: una persona può davvero diventare la cura per qualcun altro che ha bisogno». Saper comunicare è fondamentale, soprattutto nella gestione delle famiglie che vivono un trauma o un lutto: «Lì c’è bisogno di tempo e spazio, serve sensibilità».
MARGHERITA: «Non faccio l'infermiera, "sono" infermiera: da quando ho iniziato questo percorso mi sono riscoperta»
«Rifarei tutti i giorni la stessa scelta, credo molto nella professione dell’infermiere». Margherita Rossi è infermiera CIO, si occupa del controllo e della prevenzione delle infezioni ospedaliere. «Sento la professione addosso, come un abito: ora mi occupo di sorveglianza delle infezioni correlate all’assistenza, lavorando su protocolli e procedure che consentono di migliorare la qualità delle cure e prevenire potenziali complicanze. È un lavoro poliedrico, basato su multidisciplinarietà e collaborazione: richiede l’aiuto di ogni singolo professionista». La formazione si combina all’esperienza, essenziale per prendere decisioni e operare in modo autonomo. «L’infermiere è un po’ vittima della storia: nonostante le competenze maturare non sempre questa figura viene riconosciuta per ciò che vale. Sta a noi farci conoscere e riconoscere, la formazione è l’arma che abbiamo».
ANNA: «Per chi ha bisogno di assistenza siamo un punto di riferimento: è importante saper ascoltare»
Anna Guerra è infermiera dal 1992. «Trent’anni – commenta - non mi sembra vero!». Figlia di un infermiere, è cresciuta frequentando le corsie dell’Oglio Po, dove oggi lavora ed è parte del Picc Team. «Mi occupo del paziente chirurgico nell’assistenza pre e postoperatoria e degli impianti per gli accessi vascolari. Il contatto con i pazienti per me è fondamentale: oltre alla sorveglianza nei momenti più delicati, l’ascolto è uno degli aspetti fondamentali, così come l’empatia». Dopo tanti anni di lavoro, Anna ha assistito ai numerosi cambiamenti nella professione: «Da un lato l’evoluzione tecnologica ci facilita il lavoro, dall’altro l’organizzazione è diventata più complessa. Ma non ho ripensamenti sulla scelta di questa professione: so di aver fatto la scelta giusta, e la rifarei».
IRINA: «Nel mio lavoro “parlo con il cuore”: saper leggere i dati e le immagini è fondamentale per conoscere il paziente»
Irina Jitariu è Sonographer, tecnico sanitario specializzato nell'uso degli ultrasuoni all'interno del laboratorio di ecocardiografia. Dopo la specializzazione conseguita sia in Italia sia in Romania – il suo Paese d’origine – ha iniziato a lavorare presso l’Asst di Cremona. «Possiamo dire che “parlo con il cuore”, tramite la sonda: sono soddisfatta del percorso che ho fatto, ho imparato molto. Spesso i ritmi di lavoro sono intensi, ma trovo positivo scoprire ogni giorno qualcosa di nuovo. È una continua ricerca». Il rapporto con i pazienti è un punto importante: «Sono soprattutto persone anziane, spesso con patologie complesse e difficili da gestire. Saper fare un’anamnesi corretta è fondamentale per saper leggere i dati che raccontano la salute del loro cuore. Mi sono sempre dedicata alle persone: sono molto empatica, questa è la mia forza. Amo aiutare gli altri, questo mi dà soddisfazione».
ANGELA: «I pazienti che si affidano a noi infermieri maturano stima e fiducia in ciò che facciamo»
Angela Sammartino è infermiera da 35 anni all’Asst di Cremona. «Ho iniziato con la scuola di specializzazione, forse anche prima: un infermiere che crede in ciò che fa è un infermiere a tempo pieno, non si stacca mai». Dopo una prima esperienza in Medicina generale, si è dedicata ai pazienti affetti dalla sindrome del piede diabetico, maturando l’interesse per la cura delle lesioni cutanee. «Oggi mi occupo di valutare il rischio di sviluppare queste problematiche in tutte le situazioni clinico-assistenziali e impostare un piano di prevenzione appropriata sia durante la permanenza in ospedale sia a domicilio. il paziente ha ancora un’idea sommaria riguardo l’infermiere specialista ma chi ha avuto esperienze dirette di cura ha maturato stima e fiducia nei confronti di questa figura professionale. Il paziente deve sapere che può affidarsi a noi in sicurezza».