Cremona

Un violino Giuseppe Ceruti esposto al Museo del Violino

L’esposizione arricchisce di una pagina importante la narrazione della storia della liuteria cremonese dell’Ottocento.

Un violino Giuseppe Ceruti esposto al Museo del Violino
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L’esposizione, al Museo del Violino, di un violino realizzato nel 1825 da Giuseppe Ceruti arricchisce di una pagina importante la narrazione della storia della liuteria cremonese dell’Ottocento. La presentazione - a fianco del piccolo violino, del 1802, costruito dal padre Giovanni Battista e del violino Stauffer, 1868, opera del figlio Enrico - permette di rileggere esaustivamente il contributo della famiglia Ceruti, attiva in città tra ultimi decenni del diciottesimo secolo e la fine del diciannovesimo.

Un violino Giuseppe Ceruti esposto al Museo del Violino

Il capostipite Giovanni Battista è promotore di un consapevole ritorno all’arte dei maestri del periodo barocco. Il figlio Giuseppe prosegue nella traccia indicata dal padre. Dopo una collaborazione saltuaria dal 1805, dal 1813 partecipa regolarmente all’attività di famiglia come evidenziano piccoli cambiamenti nello stile del fondatore e la maggior quantità di strumenti economici prodotti. Pochi portano la sua etichetta, confermando come, soprattutto agli esordi, abbia affiancato il genitore nel laboratorio. Tale evidenza è confermata anche nei documenti ufficiali. In seguito alla morte del padre, nel 1817, Giuseppe, registrato come “…fabbricatore di violini, clarinetti e intarsiatore”, diviene unico titolare dell’impresa. Qui si forma e lavora, fino al 1826, anche suo figlio Enrico.

Nel 1855 presenta due violini all’Esposizione Mondiale di Parigi. Gli è conferita una Menzione d’onore. L’unico altro italiano premiato con un riconoscimento ufficiale è Giuseppe Rocca. Nel 1856 si trasferisce a Mantova, dove muore quattro anni dopo.

Benché appaia probabile abbia concorso anche alla realizzazione di viole e violoncelli, soprattutto negli anni della collaborazione con il padre, conosciamo solo violini recanti la sua etichetta. In essi è facile apprezzare la volontà di rimanere fedele ai modelli cremonesi sviluppati dai Bergonzi e dal genitore, con affinità subito avvertibili nel profilo e nella scultura della testa.

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