Sgominata banda di giovanissimi hacker e truffatori: una fortuna online con le scarpe contraffatte
Tutti giovanissimi e ben organizzati: nella rete sono finiti anche molti clienti Lombardi.
Come racconta Prima Milano, i membri giovanissimi di una banda criminale lombarda dedita alla vendita di scarpe contraffatte sono finiti nei guai: un 23enne è finito in carcere, gli altri due sono fuori.
L’avvio dell’indagine
A far partire l’indagine è stata la denuncia, presentata nel gennaio scorso presso il commissariato Greco-Turro, nel milanese, da parte di una delle ragazze di cui si erano serviti i truffatori, facendole intestare una carta prepagata su cui poi transitava il denaro prima di essere trasferito all’estero sui conti di una banca tedesca per essere reinvestiti in bitcoin e criptovalute.
Un sistema truffaldino complesso, ma molto efficiente che ha consentito ai truffatori di espletare 1.172 ordini di scarpe contraffatte – sneakers della Nike, ma anche calzature di Balenciaga, Gucci e Alexander McQueen – con un fatturato nel 2020 di oltre 360 mila euro e un guadagno netto di almeno 100 mila. Tantissimi i clienti, fra cui molti Lombardi, finiti nella rete.
Indagine ‘Fake Shoes’ , un nome un programma
È questa l’indagine ‘Fake Shoes’ sulla vendita di scarpe di marca contraffatte online che ha portato in carcere per un 23enne, mentre altri due 22enni sono ai domiciliari e con obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Le scarpe, comprate sul mercato cinese tra i 70 e 110 dollari, venivano per rivendute sul portale online Yourun tra 250 e 300 euro.
La truffa era così strutturata che l’organizzatore, un hacker 23enne indagato in passato per i suoi legami con la rete di Anonymous e responsabile nel 2015 di attacchi informatici diretti verso l’esponente politica di Forza Italia, Catia Polidoro, aveva anche assunto una sorta di responsabile commerciale per la web reputation del sito così da oscurare i messaggi critici degli acquirenti truffati.
Il 23enne aveva, inoltre, realizzato una specie di protocollo che i suoi collaboratori erano tenuti a seguire per evitare di lasciare dietro di sé prova delle truffe: ogni tre mesi bisognava cancellare messaggi delle chat, screenshot e profili social su Facebook e Instagram per nascondere il proprio coinvolgimento. Ai membri dell’organizzazione è stata contestata l’associazione per delinquere finalizzata all’introduzione nel territorio dello Stato di prodotti con marchi contraffatti, oltre ai reati di truffa, ricettazione, indebito utilizzo di carte di pagamento intestate a terzi e autoriciclaggio. Altri quattro ragazzi risultano indagati.